Con la presente sentenza il Tribunale di Padova, in accoglimento del giudizio promosso con il patrocinio dello Studio RG & Partners, accerta la illiceità di interessi e commissioni incamerati dalla banca ai danni del correntista e condanna la stessa a risarcire il cliente nonché rimborsare le spese legali sostenute.

Con il provvedimento del 12.03.2019 il Tribunale di Brescia, in accoglimento integrale del ricorso presentato da RG & PARTNERS, omologa il piano da Sovraindebitamento ai sensi della legge n. 3/12 e, per l’effetto, sospende il pignoramento in corso sui beni dell’assistito e storna importi per circa € 330.000,00 dall’esposizione debitoria complessiva.

Il provvedimento è di particolare pregio in quanto, all’interno del piano, è stato espressamente previsto che l’azienda di famiglia, in quanto unico mezzo di sostentamento del debitore, non potrà essere assoggettata a liquidazione in favore dei creditori.

Nel caso di specie l'assistita subiva un pignoramento immobiliare sulla propria abitazione in virtù di un debito pari a circa € 200.000,00, maturato in virtù di un contratto di mutuo fondiario precedentemente stipulato.

Dopo un'attenta analisi emergeva che detto mutuo presentava anomalie contrattuali e, segnatamente, la cd. indeterminatezza delle condizioni (ovverosia la formulazione di condizioni negoziali che non precisavano in maniera univoca il reale costo del credito richiesto e conferito). Si proponeva quindi ricorso in opposizione all'esecuzione ai sensi del combinato disposto degli articoli 615 e 624 c.p.c. contestando la illiceità degli interessi richiesti e domandando la sospensione del pignoramento, per la parte di credito non dovuto ed eccedente il mero capitale.

Il Tribunale di Bolzano, con ordinanza del 20.09.2018, accogliendo integralmente le doglianze sollevate da RG & PARTNERS, Stornava circa € 130.000, dall'esposizione complessiva dell'assistita e disponeva che il pignoramento fosse sospeso per tutta la parte eccedente il mero capitale non contestato.

In ragione di tale provvedimento, avendo ridotto il debito di circa l'80%, l'assistita riusciva a saldare l'esposizione debitoria con l'istituto di credito ed il pignoramento veniva definitivamente cancellato. 

 

 

I clienti si rivolgevano ad RG & Partners dacché, a seguito del recente fallimento della propria azienda, si trovavano a subire due distinte azioni espropriative sulle unità abitative ove, rispettivamente, vivevano con le proprie famiglie.

Dopo un intensa e congiunta attività dei vari dipartimenti dello Studio (quello di diritto commerciale e fallimentare, quello di diritto civile e quello di diritto penale) si è riusciti a: 1) fare emergere la mancanza di ogni responsabilità penale dei soci relativamente al dissesto dell’azienda, scongiurando così il pericolo che un eventuale rinvio a giudizio per bancarotta potesse compromettere (ingiustamente) i requisiti soggettivi dei debitori necessari ad accedere alla procedura di esdebitamento; ricorre ai sensi della legge n. 3/12 per la composizione della crisi da sovrandebitamento ed ottenere, così, l’omologa del relativo piano di liquidazione dei creditori e la speculare neutralizzazione dei pignoramenti.

L’intensità dei lavori ha fatto sì che si è riusciti a raggiungere il predetto decreto di sospensione solo ad asta già in corso e, precisamente, pochi minuti prima dall’apertura delle buste contenenti le pertinenti offerte, impedendo così in extremis che i debitori perdessero definitivamente le loro case, restando comunque esposti per tutta le ingenti somme non coperte dal prezzo (fortemente ribassato) della vendita all’incanto.

Letti gli atti
Rilevato che il presente procedimento è stato sospeso a seguito di opposizione in data 13.08.2016;
che il provvedimento fissava il termine di giorni 60 per l’introduzione del giudizio di merito;
che a seguito di verifiche sui registri di cancelleria detto giudizio non risulta, ad oggi, essere stato iscritto a ruolo;
che conseguentemente ricorre l’ipotesi di cui all’art. 630 c.p.c., determinandosi l’improcedibilità dell’azione esecutiva per difetto sopravvenuto di una delle condizioni dell’azione (interesse ad agire) attesa l’inerzia anche del creditore procedente;
P.Q.M.
dichiara estinto il processo esecutivo e per l’effetto
Manda al Conservatore dei Registri Immobiliari di procedere, con esonero da ogni responsabilità, alla cancellazione del pignoramento trascritto in data 11.10.2012 al n. RG 11804 e RP 8940
Manda alla Cancelleria per i conseguenti adempimenti.
Piacenza, 26 dicembre 2016

 

Data: 25/07/2015

Procedura esecutiva n. 404/2012 R.G. Esecuzioni

ESECUZIONE IMMOBILIARE – SOSPENSIONE DELL’ ESECUZIONE FONDATA SU TITOLO DI FORMAZIONE GIUDIZIALE PASSATO IN GIUDICATO – NULLITA’ INTERESSI USURAI – POTERE “ESTERNO” DEL G.E. – PERICULUM “IN RE IPSA”.

L’ordinanza in commento conferma un orientamento innovativo oggetto di precedenti pronunce di merito (Trib. Monza ord. 07.07.2015) che stigmatizzano ed amplificano il cd. “potere esterno” del giudice dell’ esecuzione allorquando venga attivato in executivis un titolo nullo, per violazione di norma imperative, anche se di formazione giudiziale.

In particolare, la questione scrutinata dal magistrato, nasce da una opposizione all’ esecuzione, con contestuale istanza di sospensione, proposta contro una procedura esecutiva fondata su decreto ingiuntivo non opposto.

Il Tribunale, pertanto, in sede “cautelare”, si sofferma sul preliminare aspetto afferente “la possibilità di proporre opposizione e di sospendere l’esecuzione intrapresa in forza di un titolo esecutivo passato in giudicato” dando al quesito –all’esito di articolata ed attenta motivazione- risposta affermativa.

Il giudice, ripercorrendo un complesso iter logico-giuridico, chiarisce che “l’unico profilo ancora deducibile in presenza di un decreto ingiuntivo passato in giudicato è quello relativo alla lamentata pretesa di interessi usurari” e ciò stante il giudizio di riprovevolezza che il nostro ordinamento riserva a tale tipo di condotta e che non consente anzi, addirittura “impone di non dar corso alla dazione di interessi usurari, neppure sulla base di un titolo passato in giudizato” (Trib. Pordenone sent. 07.03.12).

In tale ipotesi, continua il giusdicente, non viene corrotto il principio di intangibilità ed immutabilità del giudicato in quanto vengono “in evidenza fatti sopravvenuti alla formazione del contratto connessi alla fluttuazione imprevedibile dei tassi” per cui in riferimento agli interessi che superano la soglia legale il creditore non avrà alcun diritto ad eseguire il titolo (Trib. Reggio Calabria sent. 04.02.04)

Anche in riferimento al periculum in mora l’ordinanza di segnala nell’ affermare che, detto requisito, è “in re ipsa” dando, anche in questo caso, continuità ad un orientamento giurisprudenziale inaugurato dai legali dello Studio Riccio (cfr. Tribunale di Varese ord. 21.04.2015).

Con la sentenza in commento la Corte di Appello di Brescia ha revocato il fallimento di una società a seguito di reclamo proposto ex art. 18 L.F. dall’ Avv. Biagio Riccio, su incarico di uno dei soci della fallita, averso la sentenza dichiarativa di fallimento emessa dal Tribunale di Cremona.

In particolare il fallimento era stato richiesto “in proprio” dal liquidatore della società nonostante, secondo uno dei soci della srl, avesse sin da subito contestato sia la legittimità della messa in liquidazione (e quindi della nomina del liquidatore) sia la sussistenza dello stato di decozione.

La Corte d’Appello ha accolto le istanza dei legali incaricati dal socio della società illegittimamente dichiarata fallita soffermandosi sulla preliminare eccezione sollevata in riferimento alla “legittimazione di Chi propone l’istanza “in proprio” , vale a dire sulla titolarità, in capo all’istante, del potere di rappresentanza.”

La Corte ha chiarito che, a prescindere dalla dibattuta questione sulla applicabilità dell’ art. 2367 c.c. alle srl, è necessario verificare preliminarmente l’ esistenza stessa (non già la mera validità) di una delibera riferibile alla volontà dei soci ed adottata nell’ ambito di un’assemblea regolarmente convocata.

Nella fattispecie la nomina del liquidatore era da intendersi tamquam non esset in quanto dall’istruttoria non era emersa alcuna valida convocazione dell’ assemblea per deliberare la messa in liquidazione e, quindi, la nomina del liquidatore stesso.

La sentenza ha dunque stigmatizzato il principio secondo cui, in ipotesi di istanza di fallimento presentata “in proprio”, è necessaria la previa e rigorosa verifica della titolarità del soggetto che propone la domanda di fallimento onde verificare la sussistenza dei necessari poteri di rappresentanza in capo allo stesso tenuto conto degli effetti pregiudizievoli che derivano dalla dichiarazione di fallimento per l’intera compagine societaria.

Reca ancora la firma degli Avvocati Danilo Griffo e Biagio Riccio (dello Studio Legale ass.to Riccio-Griffo & Partners) lo straordinario risultato ottenuto – questa volta – presso il Tribunale di Piacenza, consistente nella ESTINZIONE in via definitiva del pignoramento immobiliare promosso ai danni dell’ennesimo mutuatario vessato da tassi bancari usurari.

Nel caso di specie, il sig. T., colpito dall’azione espropriativa promossa dalla Banca sulla di lui abitazione, si rivolgeva dapprima ad SDL Centrostudi S.p.A. per la redazione delle opportune perizie econometriche (dalle quali emergeva l’applicazione di tassi ultra legali da parte dell’Istituto di Credito) e poi allo Studio legale Riccio-Griffo & Partners, per l’avviamento delle conseguenti contromisure giudiziarie.

Il processo  si è sviluppato in 2 tronconi, penale e civile, e nelle sue trame è stato portato all’attenzione dell’Autorità Giudiziaria come, i contratti di mutuo posti alla base del pignoramento, fossero tacciati da una forma di usurarietà originaria, sebbene occulta.

Difatti prevedendo questi ultimi che, in caso di ritardato pagamento, l’interesse di mora sarebbe stato calcolato sulla rata (già comprensiva degli interessi corrispettivi nonché di molteplici altre voci di costo/remunerazione) e non invece sulla sola quota capitale della stessa, determinavano di fatto una sommatoria contrattualizzata dei tassi in grado di far lievitare il TEG (Tasso Effettivo Globale) ben oltre la soglia massima prevista dalla legge 108/96.

Alla luce di tanto, il giudice Antonio Fazio del Tribunale Piacenza, ritenendo “fondate le argomentazioni esposte nel seno dell’opposizione” e ravvedendo dunque sia il “fumus boni iuris” che il “periculum in mora”, sospendeva l’ esecuzione ed assegnava termine di gg. 60 per l’incardinamento del giudizio di merito.

Preso atto che la banca, trascorso invano detto termine, aveva di fatto rinunziato a promuovere detto giudizio di merito nei confronti del mutuatario, lo Studio Legale Riccio-Griffo depositava apposita Istanza di Estinzione del processo esecutivo, che veniva prontamente e totalmente accolta dal Tribunale di Piacenza, il quale, con provvedimento del 26.12.2016: “DICHIARA ESTINTO IL PROCEDIMENTO ed ORDINA LA CANCELLAZIONE DEL PIGNORAMENTO”.

Tale clamoroso esito assume vie più importanza se si pensa che, nella procedura esecutiva promossa dalla banca opposta, intervenivano numerosi altri creditori (fra i quali, non da ultimo, Equitalia): tutti falcidiati dal provvedimento in parola.

In questo senso il Tribunale di Piacenza ha quindi avuto modo di confermare le innovative tesi sostenute, oramai da tempo, dagli Avvocati dello Studio RG & Partners, secondo cui: gli eventi che coinvolgono il titolo del creditore procedente debbano necessariamente travolgere anche le sorti di tutti gli altri creditori intervenuti; non potendosi addurre che il pignoramento meriti di proseguire nell’interesse di questi ultimi, laddove non specificamente e fondatamente contestati.

Il commentato provvedimento, dunque, non ha solo il merito di aver restituito l’abitazione al suo legittimo proprietario, sottraendola agli artigli di una moltitudine di creditori (come si è visto per la buona parte vantanti pretese tutt’altro che incontestabili); ma ha altresì il pregio di aver aperto un altro importante varco nella tutela del contraente debole, dando copro al principio secondo cui: se l’azione del creditore procedente è ‘malata’, il pignoramento va fermato a prescindere dalla presenza o meno di altri creditori intervenuti ed anche se a questi non sia stata mossa alcuna contestazione circa i loro diritti.

L’ordinanza in commento è stata resa dal Tribunale di Varese a seguito della proposizione di un ricorso in opposizione all’esecuzione immobiliare, intrapresa sulla base di un contratto di mutuo, nella quale la banca procedente aveva spiegato un intervento fondato su altro contratto di finanziamento.

In particolare il legale del mutuatario ha chiesto, ai sensi dell’art. 624 c.p.c., la sospensione dell’ esecuzione-concessa dal giudicante- eccependo l’usurarietà ab origine di entrambi i contratti e, quindi, la nullità degli stessi.

Ed infatti, dalla interpretazione delle clausole contrattuali è emerso che, all’interno dei contratti di finanziamento, la banca aveva pattiziamente previsto l’applicazione degli interessi moratori non in sostituzione ma in aggiunta a quelli corrispettivi in ipotesi di inadempimento da parte del cliente.

Sposando la difesa articolata dal ricorrente il G.E. della seconda sezione civile del Tribunale di Varese ha tra l’altro sancito, con convincente ed articolata motivazione, i seguenti principi:

  1. nelle procedure in cui si annuncia (o è stata attivata) l’ espropriazione forzata della casa di abitazione del debitore il periculum in mora è in re ipsa”;

  2. è innegabile che nel concetto di interessi usurai convenuti “a qualunque titolo” debba rientrare anche quel “vantaggio” che può derivare dalla pattuizione di interessi moratori usurari;

  3. dalla interpretazione dei contratti è emerso che l’istituto ha “testualmente pattuito, sia pure per la fase patologica dei detti rapporti” l’ applicazione degli interessi di mora in aggiunta a quelli corrispettivi.

L’ultimo principio affermato rappresenta una vera e propria rivoluzione copernicana in subjecta materia in quanto il Tribunale, interpretando correttamente le clausole contrattuali , conferma –in linea con gli articolati motivi di ricorso- la chiara volontà della banca nel “promettere”, in caso di inadempimento del cliente, l’ applicazione additiva e non sostitutiva degli interessi moratori sull’intera rata comprensiva anche degli interessi corrispettivi.

Il Tribunale ha applicato in maniera impeccabile la vigente normativa senza lasciarsi andare, come invece troppo spesso accade, a “interpretazioni creative” volte a forzare –a tutto vantaggio degli istituti di credito- la chiara lettera della legge che prevede, ai fini della verifica del superamento del “tasso soglia”, il calcolo di tutte le competenze e remunerazioni previste ex contractu a “qualunque titolo” convenute ed “indipendentemente dal momento del loro pagamento”.

 

Il provvedimento in commento è stato reso a seguito di ricorso proposto dall’ Avv.Biagio Riccio al fine di ottenere la sospensione delle operazioni di vendita del bene staggito.

In particolare, il procuratore dell’ esecutato, è ricorso al giudice dell’ esecuzione sollecitandone il potere discrezionale di sospensione ex art. 586 c.p.c. allorquando vengano in rilievo, prima dell’ aggiudicazione (o anche prima della vendita), circostanze erroneamente apprezzate dal giudice anche se note prima della proposizione dell’ istanza.

Dalla disamina degli atti erano infatti emerse delle evidenti carenze tecniche e valutative che avevano inficiato, in danno dell’ esecutato, le risultanze della ctu di stima del bene staggito.

Il G.E., accogliendo il ricorso, ha dunque sospeso le operazioni di vendita fissate a distanza di poco più di una settimana, evitando una vendita all’asta che sarebbe stata gravemente pregiudizievole ed ingiusta per la parte esecutata.

Pregevole è stata la motivazione che ha condotto il magistrato ad adottare il provvedimento de quo.

In particolare, l’Avv. Riccio ha evidenziato che, secondo la migliore giurisprudenza “può essere riformulato e riconsiderato il prezzo d’asta anche sulla base di elementi preesistenti non considerati: tra questi si individua un errore valutativo commesso dall’esperto( si veda in parte motiva Tribunale di Napoli 19.02.1994).”

La stessa Cassazione ha precisato che “il parametro rispetto al quale deve essere espresso il giudizio di notevole inferiorità del prezzo in rapporto a quello giusto di cui al novellato art.586 cpc è il valore oggettivo dell’immobile al momento della vendita derivante da circostanze note anche prima della formazione dell’ordinanza di vendita e che non siano state affatto prese in considerazione dallo stesso giudice oppure all’epoca erroneamente apprezzate (Cass.18.04.2003 n.6269).

Con percorso argomentativo assolutamente convincente il procuratore della parte esecutata ha anche chiarito, a livello esegetico, che il disposto dell’art. 586 c.p.c. trae origine dall’art.108 della legge fallimentare per cui :

  1. l’istanza per la revisione del prezzo, sproporzionato e notevolmente inferiore a quello giusto e può essere proposta anche prima dell’aggiudicazione;

  2. non si rientra nell’ambito dell’opposizione agli atti esecutivi,ma

  3. nel potere del Giudice dell’esecuzione,quale Dirigente del processo esecutivo e dunque come tale munito della competenza necessaria per consentire che il processo approdi al risultato più esaustivo per tutti(ceto creditorio e debitore).

  4. In tal caso è indispensabile solo una mera istanza come quella odierna.

  5. Tra i motivi di revoca dell’ordinanza di vendita rientra anche quello di errata determinazione del prezzo di incanto, stabilito in modo sbagliato dal perito per assoluta incompetenza o per non aver attribuito il dovuto risalto al valore della proprietà staggita(nella specie agli interni del palazzo nobiliare, in modo particolare ai dipinti di Eric Job ed al bellissimo e prezioso giardino).

  6. Si deve ritenere che i beni de quibus siano da identificarsi come Beni Culturali e perciò ad essi si applica il Codice dei Beni culturali,di cui al decreto legislativo 42 del 22.01.2004.

  7. Tale circostanza implica che non può procedersi ad esecuzione forzata, per consentire che si avvii il relativo processo di inglobamento nei beni dello Stato.

Infine va rimarcato il pertinente richiamo alla recente riforma del codice di procedura civile che ha modificato radicalmente l’art.568 cpc (così come modificato dalla legge 6/08/2015 n.132 che ha convertito il D.L del 27/06/2015 n.83,in vigore dal 27/6/2015).per cui il Giudice,per la determinazione del valore di mercato,deve sentire il Ctu ed anche le parti.

Il criterio assunto dal legislatore è dunque quello del valore di mercato del bene immobile.

Tale principio costituisce pertanto ulteriore motivo a sostegno della necessità di sospendere la procedura esecutiva ogniqualvolta il prezzo del bene staggito risulti sproporzionato rispetto al valore di mercato.